Società benefit: il beneficio comune deve essere effettivo, non potendo rimanere solo sulla carta

I vantaggi del diventare società benefit

Le società benefit coniugano l’ordinario obiettivo di conseguire profitti, tipico delle imprese, con finalità di “beneficio comune”.

In particolare, le società benefit si impegnano (anche) a promuovere attivamente progetti da cui discendono impatti positivi a favore della comunità. Progetti che possono essere di carattere sociale o di tutela della risorsa ambientale.

Si tratta, pertanto, di imprese che agiscono in modo responsabile, avendo riguardo agli impatti della propria attività su società e ambiente, nell’ottica della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa (“Corporate Social Responsibility”, c.d. “CSR”).

Diventare società benefit comporta, peraltro, dei benefici per la stessa impresa.

I vantaggi sono svariati, a partire dalla maggiore visibilità, potendo le società benefit fruire di ritorni in termini di immagine, di reputazione, di fidelizzazione dei clienti, di attrazione di talenti, di produttività del personale, ecc.

Il beneficio comune che non va perso di vista

Ecco che, anche (e, forse, soprattutto) per i benefici di cui si è appena riportato, sono numerosi gli operatori economici che stanno scegliendo di passare a questa particolare veste societaria.

Ciò è senz’altro da accogliere con favore, ma non va scordato che essere una società benefit ha un fine ben preciso, che va oltre i vantaggi di cui può beneficiare l’azienda. Assumere la veste di società benefit significa impegnarsi in modo attivo ed effettivo per perseguire un “beneficio comune”.

La disposizione contenuta nel comma 378 dell’articolo 1 della Legge 208/2015, ossia la Legge di Stabilità 2016 (con la quale sono state introdotte nel nostro ordinamento le società benefit) definisce il “beneficio comune” come il perseguimento, nell’esercizio dell’attività economica, di uno o più effetti positivi, o della riduzione degli effetti negativi, nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti ed associazioni ed altri portatori di interesse.

Si tratta di un obiettivo che va inserito nell’oggetto sociale dell’ente collettivo (commi 377 e 379 dell’articolo 1 della richiamata Legge 208/2015), il quale deve dunque essere perseguito – in modo responsabile, sostenibile e trasparente (così il comma 376 dell’articolo 1 della richiamata Legge 208/2015) – alla pari dello scopo di profitto.

La società benefit deve pertanto essere amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di “beneficio comune” e gli interessi della collettività (comma 380 dell’articolo 1 della richiamata Legge 208/2015).

Alla luce dei principi poc’anzi enunciati, è evidente che le attività funzionali alla realizzazione del “beneficio comune”non possono rimanere solo sulla carta.

Sistema sanzionatorio

Tant’è che – ai sensi della norma recata dal comma 381 dell’articolo 1 della legge 208/2015 – l’inosservanza degli obblighi di perseguire obiettivi con finalità sociale inseriti nello statuto, costituisce specifico inadempimento dei doveri imposti agli amministratori.

Qualora non vengano concretamente messi in atto i progetti di “beneficio comune” previsti dallo statuto, l’amministratore potrebbe quindi essere chiamato a rispondere, nelle forme e nelle modalità disciplinate dal codice civile per ciascuna tipologia di società, ad esempio ai sensi delle disposizioni recate dagli articoli 2392 e seguenti e 2476 del codice civile, che riguardano rispettivamente le società per azioni e le società a responsabilità limitata.

Ma la responsabilità potrebbe espandersi anche alla società che si propone sul mercato come “benefit”, ma in realtà di fatto non si sta impegnando in modo effettivo ed attivo per perseguire gli obiettivi di “beneficio comune”, scivolando in pratiche ingannevoli, come il c.d. “greenwashing”.

In tali ipotesi, la società potrà essere sanzionata per pubblicità ingannevole (Dlgs 145/2007) e per la violazione delle disposizioni contenute nel Codice del consumo (D.lgs 206/2005), configurandosi una vera e propria concorrenza sleale (articolo 2598 del Codice Civile).

Conclusioni

Per un’impresa, diventare società benefit è senz’altro un passo lodevole, che va incentivato dal legislatore.

Non va però dimenticato che assumere tale veste significa prendersi un impegno effettivo e continuo nei confronti della comunità, non potendo rappresentare una mera variazione dello statuto e della denominazione sociale per rendersi più visibili sul mercato.

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